La collaborazione migliora la qualità delle sentenze
Marianne Ryter, quali sono i criteri che caratterizzano una buona sentenza?
Un primo criterio di qualità risiede nella scorrevolezza e intelligibilità di una sentenza, e nel fatto che vi si possa intravedere un filo conduttore. La sentenza deve essere concisa, redatta in uno stile elegante, e il giudizio sussuntivo deve essere convincente. In seguito, la sentenza deve trattare e dare risposta a tutte le questioni rilevanti e alle censure sollevate. Facendo un passo ulteriore, la qualità della giurisprudenza, e quindi di una sentenza, si manifesta anche nel modo in cui nasce il verdetto, ossia nel modo in cui è stato condotto il procedimento e nel cammino decisionale seguito dal collegio giudicante.
Intende dire che il processo decisionale traspare dalla sentenza?
Secondo me, il modo in cui è stata istruita una causa influisce sulla sentenza, come pure il fatto che gli scambi intercorsi tra giudice istruttore e cancelliere ma anche all’interno del collegio giudicante siano stati più o meno costruttivi. Sono persuasa che una concertazione anche solo a voce sulle questioni controverse migliora la motivazione, rendendola più convincente e coerente. Il dialogo è sempre un fattore di qualità, persino in un campo come quello del diritto amministrativo fortemente caratterizzato dall’importanza dello scritto. Per questa ragione sono sorte varie brillanti iniziative per dare maggior spazio all’oralità in seno al TAF.
Per esempio?
Nelle corti competenti in materia d’asilo, per esempio, i casi complessi (e/o pendenti da lungo tempo) vengono discussi, almeno in parte, prima ancora che venga redatto e posto in circolazione il progetto di sentenza. Questa soluzione sembra dare buoni frutti, anche nell’ottica dell’efficienza, e sconfessa chi sostiene che una maggiore oralità comporti automaticamente un aumento della mole di lavoro. Ma a livello del tribunale nel suo insieme non è facile trovare un denominatore comune, anche perché una maggiore oralità può intaccare il principio di indipendenza del giudice istruttore e il metodo di lavoro dei vari giudici incaricati di evadere le cause.
«Se ciascuno di noi considera con occhio critico costruttivo il proprio operato, la qualità delle nostre decisioni migliorerà senza ombra di dubbio.»
Marianne Ryter
Quale contributo può dare il progetto «Redazione delle sentenze», ora completato?
Come primo passo, nel 2019 il gruppo di lavoro ha elaborato la «Direttiva per la redazione delle sentenze», la quale definisce le caratteristiche di una sentenza ben scritta e strutturata in modo logico, che favoriscono la comprensione per quanto deciso e l’accettazione della giurisprudenza. Questo progetto potrebbe di intensificare gli scambi tra i cancellieri e contribuirà senz’altro a migliorare ulteriormente la qualità delle sentenze.
Qual è la parte di responsabilità dei giudici sotto questo aspetto?
In qualità di dirigenti, i giudici devono istruire i cancellieri loro subordinati e se necessario provvedere alla loro formazione. Ma possono trarre grande profitto anche dagli scambi reciproci. Penso che ogni membro di un collegio desideri che la sentenza pronunciata sia di buona qualità. Le divergenze di vedute devono essere discusse, possibilmente prima di elaborare il progetto di sentenza. Se ciascuno di noi considera con occhio critico costruttivo il proprio operato, la qualità delle nostre decisioni migliorerà senza ombra di dubbio.
Il fatto che una sentenza non venga impugnata significa automaticamente che è di buona qualità?
Automaticamente no di certo, ma è senz’altro un segno dell’accettazione delle parti. Se hanno l’impressione che il verdetto è oggettivo, che il procedimento è stato condotto in maniera corretta e che il tribunale ha esaminato con il dovuto rigore i loro argomenti, le parti tenderanno ad accettarlo meglio, anche se le loro conclusioni sono state respinte. In effetti, benché sia naturale che le parti tendano a ritenere migliore una sentenza che conferma il loro punto di vista, si sa che la parte vincente è in genere una sola. Da qui l’importanza della qualità della giurisprudenza, che deve manifestarsi sia nel modo in cui il procedimento è condotto e la sentenza pronunciata, sia nella sua motivazione.
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