«Una decisione di buona qualità è una decisione comprensibile»
Signor Paychère, secondo lei che ha esercitato svariate funzioni giudiziarie, quali sono le caratteristiche di una sentenza di buona qualità?
Facciamo un controesempio: prendiamo una sentenza della Corte di cassazione francese. Sicuramente breve, ma altrettanto incomprensibile, poiché redatta in base al principio della «frase unica». Per i terzi, ecco l’occasione di esercitare l'arte del commento: che sarà molto più prolisso della sentenza stessa, e necessario per la comprensione, persino per gli addetti ai lavori! All’altro estremo troviamo, in uno stile più «teutonico», le sentenze lunghe anche 100 pagine di certe corti supreme. Nell’uno e nell’altro caso, negli stili che questi approcci sottintendono tutti, pur essendo così diversi, troviamo l’idea che esista un’unica soluzione possibile, e che il ragionamento giudiziario sia autonomo rispetto ad altre forme di ragionamento, come se il formalismo giuridico riuscisse ancora a convincere qualcuno, quando i sostenitori del realismo giuridico hanno ormai capito che il discorso del giudice è invece lo specchio dei tempi.
Lei ha presieduto dal 2008 al 2017 il gruppo di lavoro «Qualità» della Commissione europea per l’efficacia della giustizia (CEPEJ) del Consiglio d’Europa. Come si definisce la qualità di una sentenza?
Definire la qualità di una sentenza giudiziaria è un compito molto arduo. Se consideriamo i sondaggi sul livello di soddisfazione e la prospettiva degli utenti, direi che una decisione di qualità è una decisione comprensibile, nella quale il giudice assume il proprio ruolo e, pronunziando il diritto, crea un fatto sociale nuovo. Agli amministrati interessa certamente capire la decisione, ma anche il processo che sta a monte. Il concetto di qualità non implica soltanto una valutazione del risultato finale: riguarda l’intero processo. L’accessibilità e l’accettabilità di una decisione sono due aspetti collegati. Se ha la possibilità di partecipare al processo giudiziario, l’amministrato sarà più propenso ad accettare la decisione che ne scaturisce. Una procedura incentrata sull’avvocato, a discapito delle parti, è più facilmente fonte di incomprensioni.
«Il concetto di qualità non implica soltanto una valutazione del risultato finale: riguarda l’intero processo.»
François Paychère
Quando ho iniziato a lavorare per il Consiglio d’Europa, eravamo troppo concentrati sulla celerità della procedura, forse perché influenzati dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Allora pensavamo che la celerità fosse la principale dimensione della qualità della giustizia. Col senno di poi, credo che quest’idea fosse sbagliata, e che il fattore fondamentale risieda nell'accettabilità di una decisione. È questo che l’uomo comune chiede soprattutto a una decisione giudiziaria: che sia comprensibile. La qualità non si può statuire, deve essere vissuta nel rapporto con gli amministrati.
Quale rapporto esiste tra efficacia e qualità?
L’efficacia è un aspetto della qualità. Per il pubblico, è un elemento importante del processo, ma è solo uno tra gli altri. Secondo quanto emerge dai nostri studi, il fatto di vedere la persona che ci giudica, di capire la procedura e di constatarne la celerità sono gli elementi costitutivi che determinano la qualità di una sentenza, che non deve essere considerata astrattamente, ma è piuttosto il concetto attorno al quale ruotano le altre dimensioni della giustizia.
Quali sono le piste di miglioramento?
Occorre migliorare la comprensibilità del processo giudiziario. Bisogna garantire la leggibilità dell’udienza con accorgimenti semplici, ad esempio collocando dei cavalletti su cui sono esposte le funzioni dei diversi partecipanti al processo. La definizione dei ruoli ha una valenza simbolica e per le parti migliora la leggibilità dell’udienza.
«Personalmente spero in un ritorno a sentenze più brevi, in cui il giudice si assume la responsabilità della decisione presa.»
François Paychère
Occorre abbandonare anche l’idea secondo cui il giudice applica la legge isolatamente, limitandosi a enunciarla. Questa idea è sconsiderata. Il giudice si nasconde sempre più dietro ciò che vorrebbe spacciare per il risultato del sillogismo giuridico. Come se ciò che scrive fosse una mera conseguenza del diritto e della giurisprudenza. In realtà, ogni volta, il diritto deve essere creato. Questo aspetto viene troppo spesso trascurato, con mio grande dispiacere. Personalmente spero in un ritorno a sentenze più brevi, in cui il giudice si assume la responsabilità della decisione presa.
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