L’importanza del dialogo

La presidente uscente Marianne Ryter constata con piacere che oggi il TAF si presenta molto più coeso rispetto a 15 anni fa. Dirigerlo è stato comunque un compito impegnativo e non solo a causa della pandemia.

23.12.2021 - Katharina Zürcher

Condividere
Marianne Ryter in un'intervista
La Presidente della Corte Marianne Ryter. Foto: Lukas Würmli

Marianne Ryter, se guarda alla sua esperienza al TAF, qual è il primo pensiero che le viene in mente?

Penso prima di tutto alle molte persone che ho incontrato e a tutti gli scambi interessanti che ho potuto intrattenere.

Fa parte del TAF fin dalla sua istituzione nel 2007. Cos’è cambiato negli anni?

Si percepisce tuttora che è un tribunale giovane e ancora in divenire. Negli anni però la coesione si è fatta più forte. Ciò è dovuto, da un canto, al fatto che lavoriamo nella stessa sede e, dall’altro, al rinnovo dell’organico dei giudici. Ho l’impressione che in questi 15 anni i magistrati neoeletti si considerano giudici del Tribunale amministrativo federale più che membri di una determinata corte o di una ex commissione di ricorso. Un altro aspetto positivo è che le corti si aiutino reciprocamente senza troppe formalità: chi ha bisogno di un aiuto, lo riceve.

Dove vede le sfide maggiori per il TAF?

Una criticità è sicuramente data dalle sue dimensioni: siamo 74 giudici, 240 cancellieri e cancelliere e oltre un centinaio di collaboratori e collaboratrici nelle cancellerie e al segretariato generale. Un’altra è il fatto che molti vengono a San Gallo solo per lavorare. Oggi la coesione al TAF è molto più forte di prima ma pecca ancora un po’ di continuità.

«La responsabilità è enorme e lo spazio di manovra limitato. Dobbiamo poter contare sulla collaborazione costruttiva di tutte le persone che lavorano al tribunale»

Marianne Ryter

Ha citato le dimensioni del TAF: un tribunale con oltre 440 dipendenti è ancora gestibile?

Dirigere un tribunale così grande è una sfida. Dipende anche dai meccanismi, dagli strumenti di gestione e dalle competenze a disposizione o, a seconda del punto di vista, dalla loro mancanza. Naturalmente le strutture esistenti hanno la loro ragion d’essere e la loro giustificazione. L’indipendenza di cui i giudici devono disporre non permette di gestire un tribunale alla stregua di un’impresa. Chi lo presiede deve anzitutto garantire condizioni di lavoro ottimali alla giurisprudenza e sgravarla di tutti gli oneri amministrativi. Quando qualcosa non funziona, tuttavia, si percepiscono rapidamente i limiti. La responsabilità è enorme e lo spazio di manovra limitato. Dobbiamo poter contare sulla collaborazione costruttiva di tutte le persone che lavorano al tribunale.

È per mancanza di strumenti e competenze che, nella sua carica di presidente, ha deciso di puntare sul dialogo?

No. Sono convinta che la gestione e lo sviluppo dell’organizzazione debbano fondarsi sul dialogo e la fiducia. Per questo ho creato diverse opportunità di scambio, come le tavole rotonde, i momenti di dialogo per gli organi direttivi e quelli di scambio per tutte le categorie professionali. Questi ultimi, purtroppo, sono stati organizzati una volta sola a causa della pandemia.

A proposito di coronavirus, all’inizio del suo mandato ha dovuto prendere decisioni di vasta portata in tempi brevissimi. Come ha vissuto questo periodo?

Per fortuna non decidevo da sola. Sentivo il sostegno della Commissione amministrativa e dei presidenti delle corti. Devo comunque ammettere che è stato un periodo impegnativo. All’inizio non sapevamo nemmeno se saremmo stati in grado di garantire l’operatività del tribunale. A volte le emozioni hanno avuto la meglio. Mi è pesata soprattutto la disparità: molti potevano lavorare da casa, altri dovevano essere in ufficio. Sono contenta che oggi le tensioni si siano allentate, anche se ora abbiamo altri problemi da affrontare.

Quali?

In sostanza dobbiamo stabilire come vogliamo impostare la collaborazione in futuro: se molti apprezzano il telelavoro, altri preferirebbero tornare alle modalità in uso prima della pandemia. La direttiva sul lavoro mobile, in vigore da ottobre, ci concede un margine di manovra un po’ più ampio ma bisognerà adeguarla all’evoluzione della digitalizzazione. La digitalizzazione cambierà radicalmente il mondo del lavoro che conosciamo.

Quando ha assunto la presidenza del TAF, ha affermato che il tribunale si trovava in una condizione di equilibrio precario a causa di pressioni dall’esterno. Come la vede oggi?

La politicizzazione della giustizia è purtroppo un tema sempre di attualità. Per preservare l’indipendenza della giustizia e la sua autonomia istituzionale, bisogna assolutamente contrastare tutti i tentativi di politicizzazione, a prescindere da chi ne è promotore, e questo anche quando arrivano dall’interno.

Sta per lasciare il TAF per il Tribunale federale. Con quali sentimenti?

Direi con sentimenti contrastanti. Ho sempre lavorato volentieri qui e mi porterò nel cuore molti momenti indimenticabili. Ma non sono una persona che mette radici e sono felice di affrontare una nuova sfida. La mia carriera professionale, iniziata proprio con gli anni di apprendimento al TAF, proseguirà in un’altra organizzazione con un’altra cultura e con altre persone. Sono felice di poter cedere qualche responsabilità e di potermi dedicare maggiormente all’attività giurisprudenziale.

Altri articoli del blog