«Mi sorprende che le donne ai vertici non siano di più»

Martha Niquille, dopo 97 presidenti uomini, lei è la prima donna a presiedere la più alta corte svizzera. Che cosa significa questo per lei?
Sono lieta di essere stata eletta a ricoprire un ruolo così stimolante. Un po’ di apprensione per i compiti che mi attendono c’è, ma torneremo più avanti su questo punto. Tornando al fatto che a capo del Tribunale federale ci sia ora una donna, penso che questo sia perfettamente in linea con il momento storico in cui ci troviamo. Attualmente, dei 38 giudici federali, 15 sono donne; ha quindi una sua logica che sia stata eletta una donna, tanto più che, dall’entrata in vigore della legge sul Tribunale federale (LTF), il fattore dirimente non è più l’anzianità di servizio e la Corte plenaria può scegliere con maggiore libertà.
Prima della sua elezione a presidente del Tribunale federale, lei ne è stata la vicepresidente per quattro anni e sapeva quindi più o meno che cosa la aspettava. C’è però comunque qualcosa che l’ha sorpresa?
In qualità di vicepresidente, sono stata coinvolta sistematicamente nelle riunioni e nelle procedure della Commissione amministrativa, ma sono rimasta comunque sorpresa quando ho scoperto tutto quello che la carica di presidente comporta in aggiunta. Tra le altre cose, sono la persona di riferimento per molte questioni interne, e la situazione di pandemia attuale non ha fatto che aumentare ulteriormente il carico di lavoro. Benché in un simile contesto siano venuti meno determinati compiti di rappresentanza, è stato dall’altra parte necessario intensificare gli sforzi di coordinamento e comunicazione. Di conseguenza, con mio grande rammarico, ho dovuto mettere un po’ da parte l’attività giurisdizionale che svolgo, tra l’altro con grande piacere, presso la prima Corte di diritto civile.
Che cosa l’ha tenuta più impegnata durante i suoi primi cento giorni da presidente?
Nei primi tre mesi del mio mandato sono stata molto impegnata con il rapporto annuale e i preparativi per la rendicontazione al Parlamento, anche a causa dei contatti che è necessario intrattenere a tal fine con gli altri tribunali federali. Si tratta di procedure complesse, in cui, in qualità di presidente, ricopro un ruolo centrale. A inizio anno la presidenza è poi solitamente impegnata a discutere della ripartizione delle risorse tra le corti. Inoltre, stiamo al momento valutando, dopo la fallita revisione della LTF, come far fronte con misure interne alla situazione di sovraccarico del Tribunale federale.
Parlando di fatti concreti, lei ha trasferito un posto di giudice da Lucerna a Losanna. Pensa che la misura stia sortendo l’effetto sperato?
Quella del trasferimento di un posto di giudice da Lucerna a Losanna è stata una misura immediata al fine di alleggerire il carico di lavoro della Corte di diritto penale. Dovevamo intervenire per evitare che alcuni casi rimanessero pendenti. Non si tratta però di una soluzione permanente, dal momento che porta con sé altri problemi: per esempio, ora ci manca una figura a Lucerna per formare un collegio completo di cinque giudici in una delle due corti di diritto sociale.
Che cosa risponde alla proposta del presidente della Commissione giudiziaria, Andrea Caroni, che intende alleggerire il carico di lavoro del Tribunale federale tornando
sugli aspetti non contestati della fallita revisione della LTF?
È una questione ancora tutta aperta, quindi non posso dire molto. Ma siamo contenti che i politici si stiano dando da fare. Le idee alla base della proposta vanno dritte al punto: il Tribunale federale non solo ha un carico di lavoro eccessivo, ma questo carico di lavoro non è giustificabile alla luce del suo mandato, se si pensa a tutti i casi bagatellari che si trova a trattare. Non ha senso che la più alta corte del nostro Paese debba pronunciarsi su multe per motivi di parcheggio dell’ordine di grandezza di cento franchi. Ad ogni modo, vista l’attuale situazione di sovraccarico del Tribunale federale, quello che ora conta davvero per noi è che si faccia qualcosa.
E ora che cosa succederà?
Dal momento che proprio non possiamo e non vogliamo stare con le mani in mano, come già detto, continueremo a cercare altre risorse interne. Vogliamo capire come fare ad accrescere l’efficienza del Tribunale ridistribuendo determinate materie giuridiche tra le corti e come raggiungere un equilibrio in termini di carico di lavoro al loro interno. In questo contesto, le questioni cui occorre far fronte sono ovviamente complesse. Per quest’operazione di riorganizzazione interna abbiamo pertanto istituito un gruppo di lavoro composto da membri della Commissione amministrativa e delle corti.
Pensa che pratiche di mutuo aiuto e collaborazione tra le corti possano alleggerire il carico di lavoro?
Pratiche di mutuo aiuto sono già una realtà. Tuttavia, si tratta soltanto di una soluzione a breve termine. Di base, è necessario ripensare gli assetti.

Dati personali
Nata nel 1954, dopo gli studi e il dottorato a San Gallo, Martha Niquille-Eberle consegue la patente di avvocato nel 1984. Dal 1979 al 1981 lavora come assistente di diritto costituzionale e amministrativo all'Università di San Gallo e dal 1984 al 1988 esercita la professione di avvocato a San Gallo. Dal 1987 al 1993 è docente di diritto delle obbligazioni all’Università di San Gallo e giudice non di carriera al Tribunale cantonale di San Gallo. Dal 1993 al 2008 è giudice a tempo pieno del Tribunale cantonale di San Gallo; dal 2005 al 2007 ne è la presidente. Il 1° ottobre 2008 è eletta giudice federale. Vicepresidente del Tribunale federale dal 2017 al 2020, ne diventa la presidente il 1° gennaio 2021.
A volte si sente dire che le numerose decisioni di non entrata nel merito del Tribunale federale siano dovute anche a questa situazione di forte sovraccarico. C’è del vero?
Il Tribunale federale non utilizza affatto questo strumento, messo consapevolmente a punto dal legislatore, per ridurre il proprio carico di lavoro. Piuttosto, a tale strumento fanno ricorso i presidenti delle corti, in veste di giudici unici, per respingere ricorsi viziati da condotta processuale querulomane o abusiva; le risorse così risparmiate vanno poi a beneficio della valutazione materiale di altri casi. Inoltre, non è vero neanche che il numero di decisioni di non entrata nel merito sia aumentato in modo così significativo. Il livello di un parametro sicuramente più significativo come quello del tasso di accoglimento dei ricorsi nel contesto delle valutazioni materiali, del resto, rimane costante.
E se le dico «censura dell’arbitrio»? Il Tribunale federale ha forse reso più severi i suoi requisiti in merito al fine di poter gestire meglio il suo carico di lavoro?
Non si tratta di questo. La censura dell’arbitrio viene fatta valere per lo più per quanto riguarda l’accertamento dei fatti. Spesso non è chiaro che il Tribunale federale si limita a esaminare questioni giuridiche. I fatti sono accertati ed esaminati dalle istanze inferiori – nel caso del diritto penale e civile, di regola, da due istanze a livello cantonale. E una simile divisione dei compiti ha senso. Ai tempi dell’avvocatura avevo imparato che le cause si vincono in gran parte sulla base dei fatti. La tentazione di modificare ancora una volta, giunti dinanzi al Tribunale federale, le conclusioni in materia di accertamento dei fatti e valutazione delle prove formulate dalle istanze cantonali e federali inferiori è quindi forte. Ma non è questo lo scopo di un ricorso presso il Tribunale federale.
Cambiamo argomento: il primo giudice federale donna, Margrith Bigler-Eggenberger, viene da San Gallo, proprio come lei. La Svizzera orientale è forse un terreno particolarmente fertile per pioniere del diritto come voi?
Ho incontrato Margrith Bigler-Eggenberger di persona soltanto una volta, in occasione di un evento dell’Università di San Gallo dedicato al tema delle donne nella magistratura, cui ho partecipato in veste di giovane giudice del Cantone di San Gallo. Ma non attribuirei necessariamente il nostro ruolo di pioniere al cantone di San Gallo. (ride) Tanto più che il Tribunale federale ha già avuto un vicepresidente donna tra il 2007 e il 2010: Susanne Leuzinger, di Zurigo.
Lei lavora al Tribunale federale da più di dodici anni. Da un punto di vista puramente geografico, non preferirebbe lavorare al Tribunale amministrativo federale?
Sono molto legata alla mia città natale, San Gallo, ed è lì che passo la maggior parte dei fine settimana, dalla mia famiglia. Da casa nostra, sul Freudenberg, posso persino vedere il Tribunale amministrativo federale (TAF). Mi piace molto la Svizzera orientale con le sue colline e il vicino lago di Costanza. Ma le colline e un lago, che tra l’altro è ancora più vicino alla città, ci sono anche a Losanna. Io lì sto bene e spero che anche i romandi che passano dal nostro Tribunale al TAF possano sentirsi a proprio agio a San Gallo. A causa della loro posizione periferica, non è sempre facile per entrambi i tribunali assumere personale proveniente da altre regioni linguistiche.
A proposito di famiglia: quanto è stato facile o difficile coniugare carriera e famiglia?
All’università, lì a San Gallo, eravamo solo poche donne. All’epoca non c’erano gli asili nido e quindi molte di noi hanno rinunciato ai figli o alla carriera. Per me questa cosa era fuori discussione. Conseguita la patente di avvocato, ho praticato l’avvocatura per alcuni anni, lavorando parallelamente come giudice cantonale non di carriera e come docente all’Università di San Gallo. Attività, queste ultime due, su cui mi sono concentrata con la nascita del mio primo figlio, dal momento che mi consentivano una maggiore libertà.
Non dev’essere stato semplice...
Non lo è stato, no, ma ne è valsa la pena. Mi è sempre piaciuto fare il giudice, così come fare l’avvocato, e non volevo comunque rinunciare all’idea di avere una famiglia. Quando sono diventata giudice cantonale a tempo pieno, i miei figli erano ancora in età prescolare. Poiché la legge non prevedeva la possibilità di praticare la professione del giudice a tempo parziale (una modifica in tal senso c’è stata soltanto in seguito), mi è stato eccezionalmente concesso un grado d’occupazione dell’80 % per il periodo in cui i miei figli hanno frequentato la scuola elementare. Questo mi garantiva un certo margine di manovra, tanto più che il sabato era mio marito a occuparsi dei bambini. Oggi le condizioni quadro sono migliori, ma rimane comunque impegnativo conciliare famiglia e lavoro – lo vedo con il mio figlio più grande.
La sua condizione di donna ha mai influenzato positivamente o negativamente la sua carriera?
Sicuramente non mi sono mai sentita svantaggiata in quanto donna. Al momento della mia elezione al Tribunale cantonale, forse è stato addirittura un punto a mio favore. Il fatto di essere l’unica donna in un collegio di soli uomini al Tribunale cantonale di San Gallo non mi ha svantaggiato in alcun modo. Fino a un anno fa, la prima Corte di diritto civile, di cui io faccio parte, era composta esclusivamente da donne. Secondo la mia esperienza, il modo in cui si collabora e ci si rapporta all’interno dei nostri ambienti dipende molto più dalle persone che dal sesso. Cosa significhi essere discriminati l’ho sperimentato soltanto a scuola: in quanto ragazza, ho dovuto seguire le lezioni di economia domestica al posto di quelle di geometria. Ecco perché non ho potuto accedere direttamente al liceo e il mio percorso per conseguire la maturità non è stato del tutto lineare.
«Secondo la mia esperienza, il modo in cui si collabora e ci si rapporta all’interno dei nostri ambienti dipende molto più dalle persone che dal sesso.»
Martha Niquille
La quota di donne nella magistratura è aumentata; dove sente ancora l’esigenza di un cambiamento?
Secondo me che ci sia un equilibrio tra uomini e donne, così come tra persone giovani e meno giovani, è fondamentale in tutti i settori. Vuole degli esempi? A me piace guardare il calcio, ed è evidente che il calcio femminile goda di una considerazione di gran lunga inferiore. E quando vado ai concerti continua a stupirmi che le direttrici d’orchestra siano così poche. Perché in alcuni settori la presenza degli uomini è ancora così predominante? Credo che si tratti per lo più di abitudine. Ma gli esempi femminili sono altrettanto importanti.
Per finire, una domanda sull’attività di supervisione del Tribunale federale: è soddisfatta dell’operato del TAF?
Sì, siamo soddisfatti dell’operato del TAF. La Commissione amministrativa del Tribunale federale, responsabile della supervisione amministrativa sui tribunali federali di prima istanza, intrattiene rapporti buoni e amichevoli con la Commissione amministrativa del TAF. Di quanto questa cooperazione sia efficace, ne avevo già avuto prova ai tempi della mia vicepresidenza. E questo è molto importante, perché una cooperazione basata sulla fiducia è il presupposto necessario per qualsiasi attività di supervisione. Entrambi i tribunali operano nell’interesse di una magistratura forte, il che va tra l’altro a vantaggio anche di tutti coloro che si rivolgono alla giustizia.
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