Giudice, una professione da sogno
Nina Spälti Giannakitsas, 55 anni, non riesce a immaginare professione più bella di quella di giudice. Laureata in diritto, da 23 anni si occupa di diritto in materia di asilo. Ha iniziato la sua carriera come cancelliera e poi come giudice, prima della Commissione svizzera di ricorso in materia d’asilo (CRA) e dal 1° gennaio 2007 del Tribunale amministrativo federale (TAF). In questi anni è sempre rimasta fedele alla Corte IV, che ha presieduto dal 2017 al 2020: quello che fa è per lei «un lavoro da sogno». E il diritto in materia di asilo le piace particolarmente, perché pone al centro l’uomo e il suo destino. Presuppone inoltre buone conoscenze dell’attualità mondiale e la capacità di integrare questi fattori in un contesto giuridico tenendo conto del diritto nazionale e internazionale.
Nina Spälti si interessa da sempre ad altri Paesi e culture. Dopo la maturità ha fatto un viaggio di un anno in giro per il mondo. Venendo da una dinastia di avvocati, che avrebbe studiato giurisprudenza le era d’altronde già chiaro: «Mio padre e mio fratello sono avvocati. Sono cresciuta a pane e diritto». La scelta di specializzarsi in quello in materia di asilo è maturata però solo durante il dottorato a Firenze: «È lì che mi sono tuffata per la prima volta nel mondo della migrazione e dell’asilo e da allora non ne sono più riemersa». Dopo tre anni a Firenze e un soggiorno di un anno a Atene, si trasferisce infine con marito e figlioletto a Berna, dove è assunta come cancelliera presso il giudice Walter Stöckli.
«Mio padre e mio fratello sono avvocati. Sono cresciuta a pane e diritto.»
Nina Spälti Giannakitsas
Una nuova casa a Speicher
Nel 2006 sono state sciolte le commissioni federali di ricorso e il 1° gennaio 2007 è entrato in funzione il Tribunale amministrativo federale nelle sedi provvisorie di Berna e Zollikofen. Che la sede definitiva sarebbe stata a San Gallo lo si era già stabilito dal 2002, per cui al momento della nomina a giudice del TAF nel 2005, quella del trasloco era per Nina Spälti una questione già decisa. Nessun grattacapo: «Mi ambiento subito e anche mio marito, di origini greche, ha accettato volentieri l’idea di trasferirsi». Non così per il figlio, che all’epoca aveva 14 anni e che a Berna aveva messo radici.
Per scegliere dove andare a vivere, la famiglia ha trascorso le vacanze in Appenzello, sul Lago di Costanza, a Bischofszell, finché non ha trovato la casa perfetta a Speicher, un’idilliaca località nel Cantone di Appenzello esterno, dove tutti si sono ambientati rapidamente: «Siamo stati accolti molto bene, con grande cordialità. Non abbiamo fatto fatica a trovare nuove amicizie». La giudice, oggi 55enne, ha molto apprezzato che la famiglia la abbia seguita: «Abbiamo così avuto modo, tempo e spazio per invitare regolarmente colleghe e colleghi». Ed è infatti proprio in quel primo periodo che sono nate amicizie che durano tuttora, anche a dispetto del lavoro in altre corti.
Politica e giustizia
Interpellata in merito, Nina Spälti è critica rispetto al rafforzamento del connubio tra politica e giustizia prodotto dal cambiamento delle autorità elettive. All’epoca delle commissioni di ricorso i giudici venivano nominati dal Consiglio federale e a nessuno importava della loro appartenenza politica: «Oggi chi non appartiene a un partito non ha nessuna possibilità di essere eletto». Di fondo non è contraria al fatto che la giustizia rispecchi le scale di valori della società, ma ritiene tuttavia che i giudici dovrebbero lasciare il partito dopo l’elezione: «Bisognerebbe al contempo professionalizzare il processo di nomina e abolire sia la possibilità di rielezione sia i ristorni finanziari versati dai giudici ai partiti».
Nel tempo libero Nina Spälti ama viaggiare e leggere. Con il marito riceve spesso ospiti o va a passeggio con il cane al lago o in montagna. Separare il lavoro dal tempo libero le riesce bene, anche se i destini spesso tragici di alcune persone le rimangono attaccati addosso. Cita come esempio la situazione delle donne in Afghanistan: «Uno dei primi ricorsi che ho accolto nel 1999 riguardava un’insegnante che dirigeva una scuola femminile a Kabul cui è stato poi concesso lo statuto di rifugiata», ricorda. «Con il ritorno al potere dei Talebani, il Paese ha fatto un passo indietro di vent’anni». Ma lei non si lascia scoraggiare: «Considero una grossa fortuna quella di partecipare a decisioni importanti e poter dare, con il mio lavoro, un contributo alla giustizia».
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